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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L'ospite accanto a me è Sergio Zuccaro . Poeta. Spesso si firma con lo pseudonimo Piumalarga.

E' nato nel. no, non lo dirò io ma lo capirete, come nei quiz, dai versi che seguono, occasione buona anche per darvi un assaggio del suo stile: "Fui un vino giovane nel dicembre del '49 / invecchiai in una collezione". dov'è nato?... ah, ma siete curiosi proprio! In un paese dal riposante nome, Supino, e ha scansato fatiche terrestri lavorando, lo leggo in un suo autoritratto, "per trent'anni all'Alitalia su un jumbo jet come tecnico di volo, quello seduto al centro, tra i piloti, e che muore sempre per primo nei film tipo Airport". Per fortuna sua, e nostra, non gli è capitata quella sorte e ne godiamo il lavoro. Come, ad esempio, "Fogli di viaggio" - il suo primo libro - pubblicato nel 1984 da Edilevante di Bari; "Hortus conclusus", del 1989, stampato da Il Ventaglio di Roma; "Aviatoria" del '94 uscito da Dismisuratesti.

Tra un suo reading e l'altro, segnalo una performance tra versi e suono, musica di Giuseppe Agostani, nell'Aula Magna dell'università La Sapienza di Roma: "Poesia di pietra e musica d'acqua"; la partecipazione nel 2001 all'installazione "Bunker poetico" di Nereo Rotelli alla 49ª Biennale di Venezia; l'esposizione, nel 200 0 , a Roma, di "Radiografie": versi su lastre radiografiche.

Ancora una cosa. Nel 1998, ha partecipato a una singolare operazione con tema le cravatte: "Cravatte ai quattro venti", antologia poetica multimediale, ideata da Tomaso Binga, stampata da "Le impronte degli Uccelli" dove il suo testo era abbinato a Maurizio Cheli, astronauta.

Suoi versi sul web cliccando su http://digilander.libero.it/guigabo/avi/avia2.html , ma v'avverto, turatevi le orecchie, sono accompagnati da una musichetta atroce di cui, però, lo so incolpevole. poi si scopre che magari è Bach ed io ci rimedio una figuraccia, vabbè, non sarebbe la prima.

Insomma: poeta e navigatore dei cieli, ce n'è abbastanza da invitarlo sull'Enterprise dove talvolta resistiamo ai poeti, ma mai ai richiami corporativi della gente dell'aria. Non solo, però, di complicità sindacale si tratta, lo spunto per la conversazione che segue, è data da un'altra sua impresa letteraria; è da poco uscita, infatti, un'antologia da lui ideata e partecipata: "Io sono il titolo", autoritratti in versi di 80 autori contemporanei, postfazione di Marcello Carlino.

Il libro, purtroppo, è funestato da una mia pagina ma, dont't panic please, a riscattarne i destini soccorrono molti nomi: da Franco Cavallo a Gianni Fontana, da Alfredo Giuliani a Emilio Isgrò, da Francesco Leonetti a Mario Lunetta, da Valerio Magrelli a Stelio Maria Martini, da Alda Merini a Francesco Muzzioli, da Aldo Nove a Luca Patella, da Lamberto Pignotti a Vito Riviello, da Edoardo Sanguineti a Gianni Toti a. basta così, mi scuso con i tanti che qui non cito, ma l'ho detto, sono 80, reclamo comprensione.

Un altro nome presente nel volume, però, voglio farlo, quello del poeta Lindo Fiore che, oltre un suo intenso contributo espressivo, ha pure impegnato l' Associazione Casalvierana di Promozione culturale nel ruolo d'editrice che debutta con il nome "Dedalus". A proposito, annuncia la pubblicazione degli atti di un importante convegno sul Mito, da Fiore stesso voluto, "Alia Patalia, mondo senza ragione" , convegno che ha visto l'intervento d'uno dei massimi studiosi al mondo della materia: Jean Pierre Vernant, per notizie: http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=544 .

 

Benvenuto a bordo, Sergio .
Grazie per l'imbarco, Armando.
Capirai la mia sorpresa, per trent'anni il benvenuto a bordo l'ho dato io.
Cercherò di fare il bravo passeggero e resisterò alla tentazione di toccare tutti 'sti bottoni.
Voglio farti assaggiare questo Gutturnio Doc Colli Piacentini di Torre Fornello . qua il bicchiere.ecco fatto.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero "è un bel manico", però noi nello spazio stiamo, schizziamo "a manetta", prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto. interiore.insomma, chi è Sergio secondo Sergio.
Grazie anche per il bicchiere di rosso.
E' la prima volta che "bevo" in cockpit, ai volatili è proibito farlo fin da otto ore prima del volo, quindi se sparo cazzate sei autorizzato a interrompere le trasmissioni con i terrestri.
Sono uno che soffre di agorafobia e per vedere il mondo si è chiuso dentro la cabina di un aereoplano.
Ho studiato poco e male e quel poco che so l'ho appreso dalle aerovie (un viandante direbbe dalla strada). Anche le cose che ho letto le ho lette durante il volo, potrei dire che sono il più alto lettore che conosca. Questo è il mio autoritratto in versi, frega a qualcuno?
fui mastro/ e sono discepolo apprendista/ piumalarga mi chiamano (per via/ della caduta planata)/ mi ricomposi verso la metà della commedia/ se permettete/ nel ventunesimo ridotto all'osso .
Il mastro in questione è, nientepopodimenoché, Leonardo, ma se fossi in voi non mi fiderei tanto, al prossimo bicchiere potrei citarne un altro.
Dicevo prima della pubblicazione di “Io sono il titolo”.
Tre domande in una. lo ammetto, sono vorace.
Com'è nata l'idea di questo libro? Perché è puntato sul dato autobiografico? Qual è il bilancio espressivo che fai di questa tua operazione?
L'idea è nata per caso, come nascono tutte le idee, e come spiego nella notizia del libro (a proposito, compratevelo) è tutta colpa di una colica. Ho trasformato in autoritratto la lastra radiografica che era servita per le indagini. Da qui la curiosità per altri autoritratti ne è stata la conseguenza.
La scelta, me ne sono reso conto dopo, come lettore, mi è sembrata terribilmente (uso l'enfatico) attuale, vista l'impraticabilità del linguaggio in altre sue forme, se non per l'autoreferenza. Lo stesso Baudrillard dice che l'arte si nutre di se stessa e il fiorire del genere lo conferma.
C'è la tendenza all'autorappresentazione, all'autodescrizione, siamo all'onanismo cosmico, alla ricomposizione dello slittamento identità-personalità.
Io per poter essere quello che sono ma soprattutto per poterlo dichiarare ho dovuto praticare il mio dissolvimento. Per diventare nessuno ho dovuto vestire i panni di tutti. Diciamo che gli autoritratti degli 80 autori del libro sono il mio autoritratto, è per questo che mi ostino a non volerla considerare un'antologia ma un testo.
Il bilancio è bello che fatto, sta già nelle intenzioni e lo conferma. C'era la possibilità che i poeti, guardandosi allo specchio, si facessero un sonoro pernacchio ma non ci sono proprio riusciti, anche se in molti ci hanno provato. Qualcuno ha fatto finta di strapazzare il proprio io, dicendogli dopo a mo' di rassicurazione. guagliò, avimme pazziato
Insomma dal Parmigianino in poi (mi sembra che anche tu frequenti gli specchi tondi da barbiere) siamo tutti "io sono il titolo" e questo ci rende tutti contemporanei.
Guarda! guarda!.fuori dall'oblò.sta passando un fascio di meteoriti.che belle.saranno anche loro contemporanee ?. Armà, mi sa che 'sto rosso comincia a farsi sentire.
Ha scritto Roman Jakobson in Poetica e Poesia: “Il confine che divide l'opera poetica da ciò che non è tale, risulta più labile di quello dei territori amministrativi cinesi”.
Sei d'accordo con quell'enunciazione? Se no, o se sì, perché?
Certo che è labile anzi direi (per citare una famosa pubblicità di biancheria intima e per amore di anagramma che ti è tanto caro) è liabel (ammazzali! che bravi ‘sti pubblicitari).
I confini della poesia sono labili ma se ben amministrati diventano stabili. Basta un niente, una parolina anziché un'altra, una quisquilia, un nonnulla, un poco, un pochino. Pensa cosa sarebbe "io è un altro" senza quell'accento grave: "io e un altro" (ma che hai capito, Armà) per buona pace di Rimbaud, non ti sembra.
Senti questa, m'è venuta adesso (io li chiamo "i miei raccontini scemi"):
l'abile Roman (Jakobson)
a forza di sostenere che il confine è labile
si fece venire la bile.
Ma noi la bile non ce la facciamo venire, n'èvvero.
Nanni Balestrini parecchi anni fa, Hans Magnus Enzensberger in epoca più recente con "Poesie-Automat".computer programmati per scrivere versi. Come giudichi quelle esperienze?
Quando Balestrini (mi aveva promesso un autoritratto e poi si è defilato, peccato, m'avrebbe fatto piacere, ero curioso) se ne uscì col giochetto di far scrivere le poesie da un computer, le pubblicarono su di un quotidiano (o una rivista?) a tiratura nazionale, le sgamai tutte. Mi sembra, se non m'inganna la memoria, fossero dieci. Cinque cyber, digiamo (mannaggia! mi viene sempre la parodìa del linguaggio di La Russa, o forse è un neologismo a zeppa tra diciamo e digitiamo) e cinque scritte da lui.
E se ci sono riuscito io, non doveva essere poi così difficile. Comunque se un giorno un computer dovesse specializzarsi a scrivere versi (chissà se poi ci toccherà portarlo dallo strizzacervelli) bene, andremo finalmente a giocare a boccette o in camporella con qualche bella venusiana, lasciando a lui tutto il lavoro (faticoso) della seduzione.
Quale importanza dai alla voce nella comunicazione poetica?
La voce interiore, il ritmo, che ogni verso ha, non basta più a farsi comunicazione.
La poesia ha perso (per fortuna) quello che Oldani chiama " la curvatura intimistica del secondo '900" , ma non ha ancora ritrovato se stessa.
Di questi tempi la voce, quella delle corde vocali per intenderci, la fa da padrone (la voce del padrone?), l'oralità, grazie ai media, ha imposto la sua centralità nel messaggio, fast words direi, rumore? con quali conseguenze? Che la storia si è appiattita nella cronaca e la coscienza nel parlato. Tutto ciò non riesce a diventare linguaggio ed ecco che la poesia cerca di ricreare quello slittamento, tornando all'origine, all'oralità.
Il mio amico Lindo Fiore mi ricorda di Tristan Tzara che diceva: il pensiero si forma in bocca. I poeti sonori o verbovisivi, come amano essere definiti adesso, chiamano il testo "pretesto", e lo è in tutti i sensi. Il testo scritto rimane come partitura da mettere in concerto. L'ultimo Roma Poesia titolava, appunto: Festival della parola.
Basta assistere a un Poetry Slam per capire che vince, non il testo più bello, ma quello più sapientemente vocalizzato.
Io preferisco Gianni Fontana, ma si corre il rischio che Jovanotti & C. (mi sembra che ci sia uno scritto di Maria Corti sui testi del cantante) siano sempre i primi, oltre che nella vendita delle Compilation , anche nei concorsi poetici.
Non c'è niente di male, solo che mi toccherà andare a scuola di canto, io che sono maledettamente stonato.
Che cos'è secondo te che distingue – o dovrebbe distinguere – la poesia dalle altre forme di comunicazione artistica, oggi?
La distinzione sta nella forma stessa del fare poetico. Nel paradosso della sua lentezza rispetto al passo levriero delle altre espressività.
Il fare poetico ti permette la riflessione, la speculazione, l'utopia. Non è costretta a strizzare l'occhio al mercato perché al mercato non interessa,
La lentezza che impone è la preparazione del volo, ma la velocità dell'intuizione è superiore alla velocità della navicella su cui stiamo volando.
La difficoltà è nel riconoscerla, mascherata com'è in altre discipline. Tanto per intenderci, io penso che la poesia sia morta, ma che i poeti siano vivi.
In Italia, e non solo in Italia, gli editori arretrano pallidi di fronte all'idea di pubblicare poesia, e, in termini di mercato, và a dare loro torto. Ritieni che il web possa essere una soluzione del problema? O può solo favorire le tante vanità del sottobosco letterario?
Certo, chi deve fare i conti con il mercato non può permettersi il lusso della poesia, ma Oscar Wilde diceva che poteva fare a meno di tutto, meno che del superfluo. E di questo superfluo, di questo lusso, che è la poesia, l'uomo non può farne a meno. Menomale che il web, almeno per adesso, non abbia l'obbligo della partita doppia e può sostituirsi sia all'editore (ce ne sono molti di piccoli e disonesti) che al distributore, a costo zero. Certo, ci tocca sopportare le "vanità del sottobosco letterario", ma penso che anche il sottobosco abbia la sua funzione nel creare l'humus necessario.
Se non ci fosse stato il web, per esempio, questo volo forse non si sarebbe potuto fare (qualcuno dirà che sarebbe stato meglio, e come dargli torto).
Qual è secondo te, in un momento di grande e perniciosa concentrazione editoriale, la funzione della critica letteraria oggi?
La “line” di una moderna casa editrice prevede che il si stampi, una volta appannaggio dell'editor, sia dato ora dal marketing. Questo spiega di per sé le difficoltà per chi ancora volesse esercitare una funzione critica nei confronti dell'opera. Annuite e riverite, sembra dire il mercato ai critici, che vi sarà riconosciuto qualche tornaconto.
Riconosciamo l'ostinazione a quei pochi (Barilli, Golino, eccetera) che volessero procedere secondo coscienza - una volta si chiamava deontologia professionale - controcorrente, in uno stadio affollato dai burocrati "pollice recto" dell'industria editoriale.
Ad essere buoni si potrebbe accampare la difficoltà di districarsi nella massa cartacea a loro recapitata quotidianamente (ve l'immaginate l'odio dei loro portieri) se non conoscessimo la seduzione su di loro esercitata dai media. Ho visto ultimamente in una trasmissione pomeridiana, condotta da un certo Giletti (il cui nome somiglia a una marca di lamette, pubblicità occulta?) un giovane critico fare il "bravo critico", come direbbe Arbore, un compromesso tra Novella 2000 e il professor Cutolo (te lo ricordi?), e sono convinto che se gli avessero chiesto, rispetto al libro di cui parlava, ma l'hai letto? lui avrebbe risposto non personalmente
L'Associazione La bella lingua” , ha redatto tempo fa un manifesto in difesa della lingua italiana sottoscritto da molti autori e operatori culturali; per citarne solo alcuni: Guido Ceronetti, Francesco De Gregori, Ernesto Ferrero, Vittorio Sermonti, Luciano Violante, e tanti altri. Da chi e da che cosa, secondo te, va difesa oggi la lingua italiana?
Forse va difesa proprio da quelli che la vogliono difendere. State attenti a chi vi porta le arance in ospedale – come dice un mio amico psicologo – potrebbe essere lui (o lei) la causa della vostra malattia.
Se avessero vinto i difensori di qualche secolo fa parleremmo ancora latino, o quelli di qualche millennio fa parleremmo ancora l'accadico e così a ritroso (se ci fosse un ritroso).
Questo non vuol dire che condivida questa lingua, spremuta, sfruttata, esausta, che deve qualche vitalità ai brutti neologismi dell'amerikano e che rischia, con l'eliminazione della sintassi, di diventare codice. Vorrei soltanto essere capace di rinnovarla senza il bisogno di difenderla. Ma mi sembra fatica sprecata. Al convegno tenuto nel Quebèc qualche anno fa un nutrito gruppo di linguisti ne prevedeva la fine nell'arco di novanta anni. Speriamo soltanto che ci risparmino la Convention dei funerali con tanto di tricolore e inno da cantare sotto il tiro dello schioppo catodico. L'anamnesi non manca di informarci di quali malattie abbia subito nei secoli. Certo Omero, (o preferisci: Certo, Omero) si poteva permettere di far parlare Ulisse con "parole alate", oggi la nostra lengua è buona al massimo per comporre i testi di qualche canzonetta di sanremo. Vuol dire che le cose devono andare così e i fiumi per poter lavare i panni in. mi sembrano tutti inquinati. Ma, dammi retta, non c'è niente da salvare, forse da rifondare.
Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s'intende…
Lo ammetto, non ho mai visto una puntata di ST e non ho mai letto Roddenberry, il suo autore. Però sono convinto di una cosa: i poeti dovrebbero leggere i testi di fisica e gli scienziati quelli di poesia. Al convegno sul mito “alia patalia”, a cui accennavi prima, un fisico, Giovanni Piacentino, ha svolto il suo intervento dal titolo: “Sisifo, gli dei, e il secondo principio della termodinamica”. Ho sempre pensato che un mito che ci viene dal passato, dovesse essere la nostra tensione al futuro. Se poi è un videomito ed esso stesso si colloca nel divenire, abbiamo fatto tombola. Abbiamo anticipato il mito, il mito del mito, insomma.
Siamo quasi arrivati a Zuccàrya, pianeta abitato da alieni astrocannibali che si cibano di versi aviatori e vivono tutti nello stesso poetico hortus conclusus… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui la conversazione, anche perché è finita la bottiglia di Gutturnio Doc Colli Piacentini di Torre Fornello … Però torna a trovarmi, io qua sto…intesi eh?
Grazie Armando ma preferirei non scendere. Con questi alieni astrocannibali che si cibano di versi aviatori ci ho avuto già a che fare. Non potresti imbarcarmi come mozzo? Si imparano un sacco di cose stando qui. Ti giuro che me ne starò buono buono da una parte e se restiamo in riserva potresti sempre mandarmi a comprare qualche bottiglia, ovviamente di Torre Fornello, ho ancora la tessera per avere lo sconto nei free shop spaziali…
Potrebbe essere un'idea. Per ora, ti saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise: lunga vita e prosperità !

 

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commenti presenti

Ho letto l'intervista giorni fa e ho cercato qui a Bologna "Io sono il titolo" ma le librerie (anche la Feltrinelli) non ne hanno copie. Potrei avere l'indirizzo o il sito web dell'editrice? sergio

inviato da sergio battimelli
 

Questo messaggio č per sergio battimelli che ha chiesto dove reperire il libro "io sono il titolo". Purtroppo non č distribuito, come la maggior parte della poesia oggi in italia, eccoti la mail per richiederlo zuccaro@katamail.com grazie

inviato da Sergio Zuccaro
 

Bella conversazione frizzante al punto giusto. mario giordano

inviato da mario giordano
 

Caro Sergio, un tempo ci scambiavamo versi scritti a mano su fogli azzurri e leggeri. ora ti leggo sul web, diavoleria moderna. Eri un giovane poeta volante e, nonostante gli anni e le ironiche disillusioni (sane!), sei rimasto quell'irriducibile animo libero di allora. Non posso che immaginarti cosė, come in questa conversazione "celeste".Francesca

inviato da Francesca D'Ascani
 

 

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